DANILO TACCHINO
La prima impressione che mi suscitano le opere di Egidio Albanese, è un profondo senso di lucidità, ordine, equilibri sia geometrici sia dinamici, nella profonda fermezza di un tratto molto elegante, quasi architettonico, in cui traspare molto spesso il dualismo tra una rappresentazione volta al passato attraverso immagini ed elementi che si rivolgono al presente, sfiatando addirittura verso il futuro.
Nell'Iconografia generale di questo autore, troviamo una prevalenza importante dei temi classici riferiti al periodo della Magna Grecia, e delle antiche colonie greche in special modo del territorio calabrese.
Opere come "Nobile Chiaramonti, Ercole, Eros, Guerrieri 1 e 2, Laocoonte, Leda e il Cigno, Niobide che si copre il capo, Sileno e Dioniso, Venere dal corno", identificano chiaramente questo dualismo tra classico e moderno. Uno stile che tende alla stilizzazione, ma che non si lascia adescare completamente dal segno della perfezione geometrica, perché la puntuale evidenza della forma classica, innesca un processo di devitalizzazione della forma, attraverso la poesia dell'immagine mitologica o archeologica.

Questo: "devitalizzare la forma", a mio avviso non è altro che reinserirla in un contesto in cui il soggetto classico viene armonicamente inserito in contesti grafici e pittorici modernizzanti e attualizzanti. Si veda in questo contesto le opere dedicate a Kandinsky, in cui però non si perde il taglio netto tra classicità e modernità.
Posso anche essere d'accordo sull'affermazione di taluni esperti che identificano nelle opere di Albanese delle "campiture scenografiche chiaroscurali esclusivamente espressioniste", in quanto sensazioni direttamente segnate dall'artista nell'emozione della sua coscienza soggettiva che viene fuori delicatamente ma con un radicato e notevole senso di fermezza e stabilità sia del segno, sia del colore. Sul colore di Albanese poi, si è detto come insolita sia la sua tavolozza in quanto si avvertirebbe una materia di colori studiati che si avvicinano all'affresco, anche se la maggioranza delle opere di questo artista sono su tela. Quello che mi piace definire in questa considerazione è che la tecnica dell'affresco non permette ripensamenti, e che quindi il nostro artista abbia anch'esso una sicurezza nella scelta del colore che giunga di getto, ispirata al contempo tra soggetto e momento della composizione, quel colore, come lo definì Armando Capri: "che esprime in definitiva il prodotto artistico dell'artista". In special modo quel grigio damascato di bianco che delinea la figura del mito greco, che a volte in alcune opere come "Amazone Mattei," o "seduzione in casa d'appuntamento", tende al marroncino e all'ocra.

La morfologia delle forme delle figure che riproducono il mito greco poi varia e ricodifica la maniera in cui la figura viene rappresentata al fruitore, come la magnifica incastonatura a medaglia o a piatto in carminio del "Laocoonte", oppure la "Stella di Natale", per giungere a quelle raffigurazioni quasi a graffito e d'affresco, di "Venere dal corno" e "Presenza materna".
Ma l'opera sulla quale desidero soffermarmi un attimo in più, è quel: "Giovane Bacco",  nel quale si sente immediatamente e direttamente tutta la spontaneità pittorica primitiva e primigenia del carattere levantino e della Magna Grecia in cui Albanese sa acquisirne il senso e l'audacia. Lo sfondo rossastro tendente al cupo del cielo in forme mutevoli e cangianti che vanno via via sempre più affievolendosi nei cromatismi per giungere al grigio del Bacco ed al marroncino della terra (senza togliere nulla all'iridescenza verde delle foglie che accompagnano il grappolo d'uva chiara). Una sensazione di unicità tesa alla classicità di forma, pervade quest'opera. Ma l'iconografia delle opere di Albanese non si ferma a questi elementi, e troviamo altri soggetti che pur mantenendo lo stilema tecnico precipuo all'identificazione della mano del nostro autore, si staccano dalla sola raffigurazione classica del mito greco e alternano figure allegoriche a simboli metafisici, ("Radici", "Deposizione") oltre a descrizioni di vario genere, come "Irene", "Davanti San Giorgio", "Estremo sacrificio", "San Giovanni in Villastellone", "Cavallo al trotto", in cui il tratto a volte si fa miniatura.

E poi vi è l'astratto. Un astratto che ricalca in parte la grafia di Kandinsky, ma che poi si sforza di rivitalizzare la forma e disimpegnarla non dalla tipologia del tratto e del colore, ma dalla forma globale indicata, come l'ingegneristico "Arco 2004" e ancor di più: "Astrazione", "Frenesia 2006" e "Un po' di ocra, opera questa che varia in tema e in forma, l'astrazione di Albanese, costituita principalmente da colori multicromatici e forme geometriche evolute se non complesse. In quest'opera invece vige prevalentemente l'unicromaticità in una segmentazione del tratto apparentemente semplice. E' infatti stato scritto dalla Peinetti che l'astratto di Albanese, "...è frutto di profondo studio del classico e sua rilettura in chiave contemporanea, che attrae più che distrarre, ed avvince l'attenzione dell'osservatore, fissandola sui temi classici ben correlati, separati sulla tela, in zone ben distinte e tuttavia fuse in un tutto armonico ed accattivante, con consumata perizia." Non posso che concordare, aggiungendovi come questo "astratto" possa ricordare le linee classiche e accompagnare il pensiero del fruitore verso moderne e direi quasi tecnologiche rappresentazioni.
Oltre alla pittura in acrilico, Albanese ha sperimentato anche la grafica, con opere in acquaforte, acquatinta e carboncino, che però a mio dire non diversificano l'iconografia delle opere in acrilico, seppure il tocco delle atmosfere date da queste tecniche rendano le opere meno corpose e più evanescenti.
Danilo Tacchino